Senofonte - Trattato sull’equitazione

Traduzione di Giuseppe Frappa

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[1, 1] Dal momento che ritengo di essere diventato esperto di equitazione in seguito al fatto che mi è capitato di appartenere alla cavalleria per molto tempo, voglio mostrare anche agli amici giovani in quale modo secondo me essi potrebbero accostarsi nel modo più corretto alla pratica dei cavalli. Orbene, scrisse sull’equitazione anche Simone, quello che nell’Eleusinio ad Atene dedicò un cavallo di bronzo e sul basamento fece incidere le proprie opere; io tuttavia dai miei scritti non escluderò le conoscenze che mi capita di avere in comune con lui, ma più volentieri le tramanderò agli amici, ritenendo che siano più credibili per il fatto che anche lui, essendo esperto di equitazione, ebbe le mie stesse competenze; e quanto egli tralasciò io cercherò di esporlo.

Innanzitutto scriverò come uno potrebbe evitare di essere ingannato nell’acquisto di un cavallo. È chiaro che del puledro non ancora domato bisogna valutare il fisico: della propria indole infatti il cavallo non ancora cavalcato non offre molti indizi. [1, 2] Orbene, del fisico io sostengo che la prima cosa da guardare sono i piedi. Come infatti di una casa nessuna sarebbe l’utilità se avesse molto belle le parti superiori senza che però ci stessero sotto le necessarie fondamenta, allo stesso modo anche l’utilità di un cavallo da guerra sarebbe inesistente, se pure tutte le sue altre caratteristiche fossero molto positive, quando fosse difettoso di piedi: in questo caso infatti non potrebbe sfruttare nessuno dei suoi pregi. [1, 3] D’altra parte i piedi si possono valutare guardando le unghie: infatti quelle spesse sono decisamente superiori rispetto a quelle leggiere in vista della buona qualità dei piedi; e poi non bisogna neppure dimenticare di osservare se gli zoccoli sono alti [o bassi] sia davanti che dietro, oppure se sono appiattiti. Infatti gli zoccoli alti hanno la cosiddetta rondine (=cavità dell’unghia) ben distante dal suolo, mentre quelli bassi appoggiano allo stesso modo nel caso di un piede molto forte e di un piede molto debole, come gli uomini che hanno i piedi storti. Simone disse che i cavalli di buon piede si possono riconoscere anche dal rumore. E diceva bene: infatti lo zoccolo cavo battendo sul suolo risuona come un cembalo.

[1, 4] Dal momento che ho iniziato da qui, così anche salirò verso il resto del corpo. Bisogna dunque che anche le ossa che stanno sopra gli zoccoli e sotto le barbette non siano né troppo dritte come quelle di una capra: infatti zampe di questo genere essendo troppo rigide scuotono il cavaliere e si infiammano di più; ma bisogna che le ossa non siano neppure troppo abbassate: infatti le barbette si spellerebbero e si strapperebbero nel caso in cui il cavallo procedesse in mezzo a zolle e sassi. [1, 5] Le ossa degli stinchi poi bisogna che siano spesse: questi infatti sono i sostegni del corpo; tuttavia non devono essere ingrossate da vene e carne: altrimenti, quando il cavallo procede in mezzo a oggetti duri, è inevitabile che queste parti si riempiano di sangue e che si formino delle varici e che le zampe si gonfino e la pelle si indebolisca. E venendo a mancare la pelle spesso anche il perone, cedendo, fa diventare zoppo il cavallo. [1, 6] Nel caso in cui camminando il puledro piegasse le ginocchia con snellezza, potresti dedurne che anche cavalcando avrà snelle le zampe: tutti infatti, col passare del tempo, piegano con maggior snellezza a livello delle ginocchia. D’altra parte le zampe snelle giustamente sono apprezzate: queste infatti, più che quelle rigide, fanno sì che un cavallo più difficilmente cada e si stanchi. [1, 7] D’altra parte le cosce che stanno sotto le scapole, se sono grosse, appaiono più forti e prestanti, come per un uomo. E certamente il torace, quando è più ampio, è preferibile dal punto di vista della bellezza e della robustezza e anche perché in questo caso le zampe sono più capaci di sostenere non in modo discontinuo, ma con continuità. [1, 8] Dal torace poi il collo del cavallo non dovrebbe cadere in avanti come quello di un capro, ma, come quello di un gallo dovrebbe giungere ritto alla cima e dovrebbe essere snello a livello della giuntura, mentre la testa, pur essendo ossuta, dovrebbe avere una mascella piccola. In questo modo il collo dovrebbe essere davanti al cavaliere e gli occhi dovrebbero vedere ciò che sta davanti ai piedi. E il cavallo che presenta questa struttura non potrebbe affatto sottrarsi al controllo, anche se fosse molto focoso: infatti i cavalli tentano di sottrarsi al controllo non piegando ma tendendo il collo e la testa. [1, 9] E bisogna vedere anche se entrambe le mascelle sono molli o se una delle due è indurita. Infatti i cavalli che non hanno uguali le mascelle per lo più diventano asimmetrici in questa parte della testa. Il fatto poi che abbia gli occhi sporgenti lo rende più sveglio del cavallo caratterizzato da occhiaie incavate, ed è probabile che un cavallo di questo genere (sc. con gli occhi sporgenti) veda meglio. [1, 10] E le narici spalancate favoriscono la respirazione più di quelle accostate e nel contempo rendono più fiero il cavallo. Infatti anche quando il cavallo si adira con un cavallo oppure diventa focoso durante una cavalcata, spalanca di più le narici. [1, 11] E certamente una cima troppo grande e orecchie troppo piccole fanno apparire meno equina la testa. Il fatto poi che la sommità della spalla sia elevata offre al cavaliere una sede più sicura e un appoggio più robusto alle spalle [e al corpo]. E la schiena doppia rispetto a quella semplice è sia più comoda per chi vi si siede sia di aspetto più elegante. [1, 12] E il fianco, quando è più profondo e più gonfio verso la pancia rende il cavallo più comodo, più robusto e per lo più atto a digerire. E quanto più piatta e corta è l’anca, tanto più facilmente il cavallo solleva la parte anteriore, e tanto più facilmente porta avanti la parte posteriore; e così la cavità che sta tra le coste e l’anca sembra molto piccola, cavità che, quando è grande, in parte è anche poco bella, in parte rende il cavallo più debole e più difficile da governare. [1, 13] E le ossa del femore bisogna che siano piatte e ben coperte di carne, per poter essere proporzionate ai fianchi e al petto; se poi tutte queste parti sono compatte, i requisiti necessari per la corsa sono migliori e rendono più veloce il cavallo. [1, 14] E se ha le cosce che stanno sotto la coda separate da una linea larga, così appoggerà anche le zampe posteriori su una base ampia. E facendo questo avrà nello stesso tempo un incedere e un cavalcare più fiero e robusto e sarà in tutto al meglio delle proprie possibilità. Lo potresti dedurre anche dal comportamento delgli uomini: quando infatti vogliono sollevare qualcosa da terra, si accingono a farlo stando a gambe divaricate e non a gambe unite. [1, 15] E i testicoli bisogna che il cavallo li abbia non grandi, il che non è possibile osservare in un puledro. E comunque a proposito degli arti posteriori, talloni o stinchi e barbette dei piedi e zoccoli, diciamo le stesse cose che sono state dette a proposito degli arti anteriori. [1, 16] E voglio scrivere anche in base a quali indizi, a proposito delle dimensioni, uno potrebbe evitare di ingannarsi. Infatti il puledro i cui stinchi risultano particolarmente alti subito fin dalla nascita diventa molto grande. Col passare del tempo infatti gli stinchi di tutti i quadrupedi non crescono particolarmente e anche il resto del corpo cresce contemporaneamente tanto da essere proporzionato ad essi. [1, 17] E mi sembra che valutando proprio in questo modo l’aspetto di un puledro gli interessati potrebbero trovare un cavallo dotato di bei piedi e robusto e ben in carne e di bell’aspetto e grande quanto basta. E se anche è vero che crescendo cambiano, tuttavia è comunque il caso di valutare con ottimismo: sono molto più numerosi infatti quelli che da brutti diventano belli rispetto a quelli che, da belli, diventano brutti.

[2, 1] Come poi bisogna allevare il puledro non mi sembra di doverlo scrivere: nella vita delle pòleis infatti è previsto che facciano parte della cavalleria quelli che particolarmente si ritrovano nelle condizioni economiche previste e che possiedono i necessari requisiti di cittadinanza; ed è molto meglio, rispetto all’impegno del domare i puledri, per il giovane prendersi cura della propria salute fisica e, una volta presa conoscenza dell’equitazione, esercitare l’arte del cavalcare, per il vecchio invece è meglio prendersi cura del patrimonio e degli amici e delle faccende politiche e degli impegni militari piuttosto che perdere tempo nell’allevamento. [2, 2] E colui che, come me, possiede le necessarie conoscenze a proposito dell’allevamento, è evidente che consegnerà il puledro (scil. perché sia allevato). Tuttavia bisogna che lo consegni come farebbe uno che consegna il figlio in vista della suo apprendimento di un mestiere, dopo aver elencato per iscritto le competenze che egli dovrà avere all’atto della restituzione. Queste indicazioni saranno infatti quasi un pro-memoria, per l’allevatore di puledri, delle cose di cui egli deve occuparsi se vuole ricevere il suo compenso. [2, 3] Bisogna curarsi peraltro che il puledro al momento della consegna all’allevatore sia mite e docile e trattabile. Tali requisiti infatti per lo più si ottengono a casa anche grazie allo staffiere, se è in grado di fare in modo che nel puledro si sviluppi senza shock la capacità di sopportare la fame, la sete e le punture dei tafani e se sa abituarlo a mangiare, bere e ad essere liberato da situazioni fastidiose grazie all’intervento umano. Se questo accade è infatti inevitabile che gli uomini siano non solo accettati, ma anche visti con simpatia dai puledri. [2, 4] E bisogna toccarlo in quelle parti in cui il cavallo prova particolarmente piacere nell’essere accarezzato. Queste sono le zone del corpo più pelose e quelle che egli stesso non potrebbe affatto raggiungere nel caso in cui qualcosa gli provocasse dolore. [2, 5] E bisogna poi pretendere dall’allevatore del puledro che abitui l’animale a stare in mezzo alla folla e ad avvicinarsi a immagini e rumori di ogni genere. E se il puledro si spaventa in presenza di qualcuna di queste situazioni, l’allevatore deve insegnargli con calma e senza arrabbiarsi che sono situazioni per nulla pericolose. Per quanto riguarda l’allevamento del puledro mi sembra sia sufficiente per la persona non addetta specificamente a tale attività quanto ho raccomandato di fare.

[3, 1] Per chi invece compra un cavallo già in grado di essere montato, scriverò alcuni suggerimenti relativamente a quanto deve tener presente se non intende essere ingannato nell’acquisto. Innanzitutto dunque non deve sfuggirgli quale sia l’età: quello che infatti non ha più i denti che indicano l’età non può dare grandi speranze né potrà essere venduto facilmente. [3, 2] Quando invece è chiaro che si tratta di un cavallo giovane, non bisogna dimenticare di controllare come accetta in bocca il freno e attorno alle orecchie la testiera. E questo si può certamente controllare nel caso in cui sotto lo sguardo dell’acquirente il freno gli sia applicato e sempre sotto lo sguardo dell’acquirente gli sia tolto. [3, 3] E poi bisogna stare attenti a come accetta sulla schiena il cavaliere. Molti cavalli infatti difficilmente affrontano quelle situazioni che chiaramente, una volta affrontate, li costringeranno a faticare. [3, 4] E poi bisogna vedere anche questo, e cioè se una volta montato vuole allontanarsi dai cavalli o se cavalcando vicino a persone che stanno ferme in piedi non devia verso di esse. E ce ne sono anche alcuni che per il fatto di essere stati male addestrati fuggono nel bel mezzo della cavalcata imboccando la strada di casa. [3, 5] Quelli poi che hanno una mascella diversa dall’altra (forse intende quelli che non sanno procedere esattamente in avanti ma deviano a destra o a sinistra [n.d.t]) si possono individuare semplicemente con l’esercizio chiamato ceppo, ma ancora molto di più il fatto che abbandoni la giusta direzione della cavalcata. Molti infatti non si prendono la briga di deviare, a meno che nello stesso tempo non capiti la mascella ingiusta e la fuga verso casa. E certamente bisogna sapere anche se, lasciato libero in velocità si lascia poi riprendere in breve e se è disposto a cambiare direzione. [3, 6] Ed è bene controllare anche se, risvegliato con una botta, è ugualmente disposto ad obbedire. È infatti certamente dannoso sia uno schiavo sia un esercito disobbediente; ma un cavallo disobbediente non solo è dannoso, ma spesso fa esattamente le cose che farebbe un traditore. [3, 7] E quando ci siamo proposti di acquistare un cavallo da battaglia, bisogna mettere alla prova tutte quelle caratteristiche che anche la battaglia mette alla prova. E tali caratteristiche sono le seguenti: attraversare saltando fossati, superare muriccioli, saltare verso corsi d’acqua, uscire con un salto da corsi d’acqua; e bisogna metterlo alla prova cavalcando sia in salita che in discesa ripida sia di fianco/di traverso; infatti tutte queste situazioni permettono di verificare sia se l’indole è forte sia se il fisico è sano. [3, 8] Tuttavia non bisogna scartare quel cavallo che non fa molto bene queste cose. Infatti molti lasciano a desiderare non tanto per il fatto di non esserne in grado, quando per il fatto di non essere pratici di queste situazioni. Ma una volta che avessero imparato e si fossero abituati ed esercitati potrebbero essere capaci di fare bene tutte queste cose, a patto che per il resto fossero sani e non scadenti. [3, 9] In ogni caso da quelli ombrosi per natura bisogna guardarsi. Quelli che infatti sono troppo paurosi non permettono di arrecare danno al nemico stando loro in groppa, e spesso tradiscono le aspettative del cavaliere e lo cacciano nelle situazioni più difficili. [3, 10] E bisogna anche appurare se il cavallo ha una qualche difficoltà o nei confronti dei cavalli o nei confronti delle persone e se è ombroso: tutte queste caratteristiche diventano infatti difficili da gestire per i possessori. [3, 11] E le difficoltà di applicare il freno e di montare a cavallo e gli altri indizi uno li potrebbe ancor molto di più verificare se, nel momento in cui il cavallo è già affaticato, cercasse di fare di nuovo le stesse cose che ha fatto prima di iniziare a cavalcare. E quelli che, pur affaticati, sono disposti di nuovo ad affrontare le fatiche offrono in questo modo dimostrazione sufficiente di indole forte. [3, 12] Per concludere sinteticamente, quel cavallo che fosse fornito di buoni piedi, ma mite, e sufficientemente veloce di piede, e fosse disposto e atto a sopportare fatiche e particolarmente docile, questo verisimilmente non procurerebbe fastidio al cavaliere ed anzi sarebbe per lui un ottimo mezzo di salvezza nei pericoli della guerra. Quelli che invece o per indolenza hanno bisogno di essere costantemente spronati o per il fatto di essere troppo focosi necessitano di essere continuamente calmati e richiedono grande attenzione, procurano costante impegno alle mani del cavaliere e insicurezza nei pericoli.

[4, 1] E quando uno, essendo rimasto positivamente impressionato di fronte a un cavallo, lo acquista e se lo porta a casa, in questa situazione è bene che la stalla di casa si trovi in un punto in cui il padrone potrà vedere spessissimo il cavallo; ed è bene che la scuderia sia strutturata in modo tale che non sia possibile che il cibo del cavallo sia rubato dalla greppia più di quanto sia possibile che quello del padrone sia rubato dalla dispensa. Colui che invece non si cura di questo a me sembra non prendersi cura di se stesso: è chiaro infatti che nei pericoli il padrone affida la propria incolumità al cavallo. [4, 2] Ma il vantaggio di una scuderia sicura non è solo quello di evitare che il cibo sia rubato, ma è anche costituito dal fatto che in una scuderia sicura risulta evidente quando il cavallo rifiuta il cibo. E accorgendosi di ciò uno può comprendere che o il fisico, troppo ricco di sangue, ha bisogno di cura o, essendo troppo affaticato, ha bisogno di riposo. E come per l’uomo, così anche per il cavallo tutti i malanni sono più facili da curare quando iniziano piuttosto che quando si sono aggravati e non sono stati correttamente individuati. [4, 3] E come bisogna prendersi cura del cibo e delle esercitazioni del cavallo, affinché il fisico sia sano e robusto, così bisogna anche avere riguardo dei suoi piedi. A tale proposito, le scuderie umide e scivolose rovinano anche gli zoccoli di buona qualità; orbene, perché non siano umide bisogna che abbiano il pavimento in pendenza in modo che i liquidi possano scorrere fuori, affinché non siano scivolose, bisogna che abbiano il pavimento costituito da pietre applicate una accanto all’altra, di grandezza più o meno uguale a quella degli zoccoli [...lacuna del testo..] infatti le scuderie costruite in questo modo [ * * * ] anche quando stanno in piedi rendono solidi i piedi. [4, 4] E poi certamente lo stalliere deve condurre fuori il cavallo nel luogo in cui intende strigliarlo e lo deve sciogliere dalla greppia dopo il pasto del mattino affinché vada più volentieri al pranzo. E così ancora la stalla esterna sarebbe ottima e potrebbe rinforzare i piedi, se [il proprietario (n.d.t.)] rovesciasse sul terreno quattro o cinque carri di pietre rotonde di dimensione tale da poter essere contenute nel palmo di entrambe le mani, del peso di circa una mina (= gr. 436), dopo avere costruito intorno un bordo in ferro, in modo tale che non si disperdano; infatti stando in piedi su queste pietre camminerebbe per una parte del giorno come in una strada sassosa; [4, 5] ed è anche inevitabile che essendo strigliato ed essendo punto da tafani faccia uso degli zoccoli come quando cammina. E le pietre sistemate in questo modo rinforzano anche le rondini (=cavità dell’unghia). D’altra parte a proposito degli zoccoli bisogna prendersi cura che siano robusti. Così anche le parti che stanno vicino alla bocca bisogna fare in modo che siano tenere. Ora gli accorgimenti che ammorbidiscono la bocca del cavallo sono gli stessi che ammorbidiscono le parti carnose dell’uomo.

[5, 1] E a me sembra che sia compito di un buon cavaliere anche quello di aver educato lo stalliere in tutto quanto bisogna fare riguardo al cavallo. Innanzitutto dunque bisogna che egli sappia che non si deve mai fare il nodo della fune che lega il cavallo alla greppia nel punto in cui si applica la testiera. Infatti spesso il cavallo grattando la testa sulla greppia, se la fune non è legata intorno alle orecchie in modo da essere innocua, corre il rischio di provocarsi delle ferite. E se ci sono delle ferite in queste parti certo è inevitabile che il cavallo sia più intrattabile nel momento in cui gli si applica il freno e lo si striglia. [5, 2] Ed è anche bene che lo stalliere abbia l’ordine di portar fuori ogni giorno lo sterco e lo strame del cavallo in un unico luogo. Infatti facendo questo egli può sia disimpegnarsi molto facilmente sia contribuire al benessere del cavallo. [5, 3] E bisogna che lo stalliere sappia anche applicare la museruola al cavallo, sia quando lo porta fuori per strigliarlo sia quando lo porta alla kalìstra (termine non citato dal Rocci e probabilmente errato nel testo, visto che nell’Index del TLG compare solo qui. Controllare altre edizioni. n.d.t.). E sempre quando lo porta fuori senza il freno, bisogna che gli metta la museruola. Infatti la museruola non gli impedisce di respirare, ma non gli permette di mordere; e quando è applicata, essa contribuisce a togliere al cavallo la possibilità di inbizzarrirsi; [5, 4] e certo bisogna incatenare il cavallo da sopra la testa: infatti tutto ciò che gli dà fastidio davanti al volto il cavallo tende per natura a scuoterlo via verso l’alto; ora, così incatenato egli allenta piuttosto che strappare i legami. [5, 5] E quando lo striglia (scil. lo stalliere) bisogna che incominci dalla testa e dalla criniera: se infatti non sono pulite le parti superiori è inutile pulire le parti inferiori. E poi in tutto il resto del corpo bisogna grattare la polvere (evidentemente usavano polvere a base di cenere n.d.t.) nel senso della direzione naturale del pelo sollevando il pelo con tutti gli strumenti che si usano per la pulizia; invece i peli che stanno sulla schiena non bisogna toccarli con nessuno strumento, ma con le mani sfregarli e lisciarli nel senso in cui sono piegati per natura; [5, 6] infatti (scil. in questo modo) non danneggia affatto il sedere del cavallo. E bisogna lavare la testa con acqua; infatti, essendo ossuta, nel caso in cui fosse pulita con legno o ferro, infastidirebbe il cavallo. E bisogna bagnare anche il ciuffo che sta sulla fronte: questi peli infatti, che sono ben lunghi, non impediscono al cavallo di vedere, ma tengono lontano dagli occhi ciò che gli dà fastidio. E bisogna credere che gli dei abbiano dato questi peli al cavallo al posto delle grandi orecchie che agli asini e ai muli quale mezzo di difesa davanti agli occhi. [5, 7] E poi bisogna lavare la schiena e la criniera, visto che bisogna farne crescere i peli, quelli della coda affinché, raggiungendo con quella i punti più possibile lontani, il cavallo riesca a scuoter via le mosche che lo infastidiscano, e quelli del collo affinché per il cavaliere ci sia un punto di appiglio per quanto possibile abbondante. [5, 8] Ma da parte degli dei criniera, ciuffo e coda sono stati dati anche affinché i cavalli possano essere orgogliosi della propria bellezza. Eccone la prova: le cavalle da riproduzione finché sono fornite di criniera non sopportano ugualmente gli asini nella monta; per questo motivo tutti quelli che fanno montare le cavalle dagli asini addirittura le fanno tosare in vista della monta. [5, 9] E certo il lavaggio delle zampe io lo escluderei: infatti il fatto di bagnarle ogni giorno non giova a nulla, ma anzi danneggia gli zoccoli. E poi bisogna ridurre l’eccessiva pulizia delle parti sotto la pancia: essa infatti infastidisce particolarmente il cavallo, e quanto più pulite diventano queste parti, tanto più numerose le mosche si radunano sotto la pancia; [5, 10] e se uno si dà anche molto da fare in questo, comunque il cavallo non riesce a mantenersi come prima nel momento in cui viene portato fuori ed è subito simile a quelli che non sono stati puliti. Queste parti dunque bisogna lasciarle stare; e anche la strigliatura delle zampe basta che sia fatta solo con le mani.

[6, 1] E spiegherò anche questo, e cioè come sia possibile strigliare [le zampe anteriori] nel modo più sicuro per sé e più utile per il cavallo. Se infatti (scil. lo stalliere) lo pulisce guardando nella stessa direzione verso cui guarda il cavallo, c’è pericolo che sia colpito sia con un ginocchio che con uno zoccolo sul volto; [6, 2] se invece lo striglia stando seduto presso la scapola rivolto nella direzione opposta rispetto al cavallo e esternamente rispetto alla zampa, in questo modo non gli può succedere nulla. E potrebbe anche curare la rondine del cavallo piegando in su lo zoccolo. E in modo analogo deve pulire anche le zampe posteriori. [6, 3] E bisogna che l’addetto al cavallo sappia che sia per queste sia per tutte le altre mansioni che è necessario compiere non ci si deve affatto avvicinare collocandosi davanti alla fronte o dietro la coda; nel caso infatti che decidesse di attaccare, in entrambe queste posizioni il cavallo è in vantaggio rispetto all’uomo. Se invece uno gli si accosta di fianco, si trova in una posizione particolarmente sicura per la propria incolumità e favorevole all’esecuzione delle proprie mansioni nei confronti del cavallo. [6, 4] E quando sia necessario condurre il cavallo da qualche parte, io disapprovo il fatto di accompagnarlo standogli dietro perché per colui che lo accompagna da questa posizione non è affatto possibile guardarsi dai suoi comportamenti scorretti, mentre per il cavallo è possibile fare quello che vuole. [6, 5] E ancora il fatto di insegnare [al conduttore] a condurre il cavallo precedendolo a lunga distanza lo contesto per questo motivo: è possibile infatti al cavallo muoversi scorrettamente verso entrambe le direzioni laterali, ed è addirittura possibile che, girando su se stesso, si disponga nella direzione opposta rispetto al conduttore. [6, 6] E poi dei cavalli che si spostano in gruppo, come potrebbero tenersi lontani l’uno dall’altro condotti in questo modo? Invece un cavallo abituato a essere accompagnato lateralmente non potrebbe affatto fare del male né ai cavalli né alle persone, e poi sarebbe predisposto nel modo migliore per il cavaliere nel caso in cui avesse bisogno di montare in groppa rapidamente. [6, 7] E per applicare il freno correttamente, lo stalliere innanzitutto deve accostarsi alla sinistra del cavallo; e poi dopo aver avvolto le redini intorno alla testa le deve appoggiare sulla spalla, e deve sollevare la testiera con la destra ed accostare il morso con la sinistra. [6, 8] E se lo accetta, è chiaro che bisogna applicare il frontale; se invece non apre la bocca, bisogna cacciare dentro alla mascella del cavallo il pollice della mano sinistra tenendo il freno accostato ai denti del cavallo. Quasi tutti infatti quando si fa questo mollano la bocca. Se invece il cavallo non accetta il freno neanche così, bisogna premere il labbro contro i denti canini (singolare nel testo; n.d.t); e certo alcuni, non numerosi, non sopportano questo trattamento. [6, 9] E lo stalliere deve aver imparato anche quanto segue. Innanzitutto non guidare mai il cavallo con una sola delle due redini: questo infatti ha come conseguenza il fatto che il cavallo abbia mascelle di diversa dimensione; e poi deve sapere quanto bisogna che il freno sia distante dalle mascelle. Infatti il freno che ad esse è troppo accostato rende callosa la bocca tanto da farla diventare poco sensibile, viceversa quello sistemato troppo verso l’estremità della bocca consente al cavallo la possibilità di non obbedire. [6, 10] E se il cavallo non accetta facilmente il freno perché si accorge che deve affaticarsi, bisogna che lo stalliere stia attento anche a quanto segue. Infatti che il cavallo sia disposto ad accettare il freno è una cosa tanto importante quanto è vero che quello che non lo accetta è un cavallo assolutamente inutilizzabile. [6, 11] Ora se gli viene applicato il freno non solo quando deve affaticarsi, ma anche quando viene portato a mangiare oppure quando da una cavalcata viene riportato a casa, non ci sarebbe nulla di strano se spontaneamente afferrasse con la bocca il freno che gli viene accostato. [6, 12] Ed è bene che lo stalliere sappia anche aiutare il cavaliere a salire a cavallo, secondo la moda persiana, affinché il padrone stesso, se mai fosse ammalato o piuttosto vecchio, abbia qualcuno che lo faccia salire, oltre al fatto di poter fare un favore a qualcun altro fornendogli uno che lo possa aiutare a salire. [6, 13] Il fatto poi di non accostarsi mai al cavallo da arrabbiati, questo è un insegnamento e un uso più che mai importante. L’ira è infatti un sentimento non conseguente a premeditazione e per questo motivo produce effetti di cui è inevitabile che ci si penta. [6, 14] E anche quando il cavallo, guardando con sospetto qualche cosa, non vuole accostarsi ad essa, bisogna insegnare che non si tratta di una cosa pericolosa facendo in modo che il cavallo rimanga tranquillo, e se questo non è possibile bisogna faglielo capire toccando personalmente ciò che gli sembra essere pericoloso e accostando il cavallo con le buone maniere. [6, 15] Quelli che invece li costringono con le botte procurano loro ancora più paura: i cavalli infatti, quando subiscono qualcosa di sgradevole in simili situazioni, credono che anche di ciò la causa sia da attribuire a ciò che egli guarda con sospetto. [6, 16] E quando poi lo stalliere consegna il cavallo al cavaliere, non critico il fatto che egli sia capace di far abbassare il cavallo in modo tale che sia facile salirci; tuttavia ritengo che il cavaliere debba essere allenato ed capace di salire a cavallo anche senza che nessuno gli predisponga il cavallo. Infatti non sempre capita di dover salire sul cavallo proprio e non sempre lo stesso inserviente esegue allo stesso modo la propria mansione.

[7, 1] E a questo punto scriverò ancora quali cose il cavaliere deve fare, una volta che ha ricevuto il cavallo con l’intenzione di cavalcare, se intende comportarsi in modo più che mai opportuno sia per sé che per il cavallo nella pratica dell’equitazione. Innanzitutto dunque bisogna che prenda con la sinistra la redine attaccata al filetto o al barbazzale senza tenderla troppo e allascata quanto basta perché non capiti che dia uno strattone al cavallo né nel caso in cui egli dovesse montare a cavallo tenendosi attaccato ai peli che stanno vicino alle orecchie, né nel caso in cui balzasse a cavallo facendo leva sulla lancia. E con la destra deve tenere le redini vicino alla spalla del cavallo assieme alla criniera affinché, in qualsiasi dei due modi egli salga, non gli capiti di dare uno strattone alla bocca del cavallo con il freno. [7, 2] E nel momento in cui si dà la spinta verso l’alto per montare a cavallo, con la sinistra deve tirare su il corpo, mentre tendendo la destra deve contemporaneamente sollevarsi (infatti, montando a cavallo in questo modo, eviterà anche di offrire da dietro uno spettacolo indecoroso per via della gamba piegata), e neppure deve appoggiare il ginocchio sulla schiena del cavallo, ma deve far passare il polpaccio sul fianco destro. E quando avrà sistemato il piede oltre la schiena, allora può appoggiare anche le natiche sul cavallo. [7, 3] E se capita che il cavaliere con la sinistra guidi il cavallo e con la destra tenga la lancia, mi sembra cosa buona che si eserciti anche a balzare a cavallo da destra. E a questo scopo non c’è bisogno che impari null’altro se non a fare con la sinistra quello che nell’altro caso faceva con la destra e viceversa. [7, 4] E per questo motivo suggerisco anche questo modo di salire a cavallo, e cioè per il fatto che, una volta salito, nel contempo il cavaliere si ritrova ad essere anche completamente preparato nel caso in cui fosse necessario combattere improvvisamente contro i nemici. [7, 5] E quando si è seduto, sia sulla nuda schiena sia sulla sella, non condivido il fatto che stia seduto come sul sedile di un cocchio, ma come se se stesse ritto in piedi a gambe divaricate. Infatti in questo modo può stare più attaccato con le cosce al cavallo e, stando ritto, può da cavallo sia lanciare dardi che colpire l’avversario con maggior forza, nel caso in cui se ne presentasse la necessità. [7, 6] E bisogna anche che lasci pendere dal ginocchio il polpaccio senza irrigidirlo. Infatti se battesse contro qualche oggetto tenendo la gamba indurita, si provocherebbe una frattura; invece il polpaccio, quando è rilassato, se anche qualcosa lo colpisce, cede e non sposta affatto la coscia. [7, 7] E bisogna anche che il cavaliere si abitui a mantenere per quanto possibile rilassate la parti del corpo che stanno sopra il bacino. In questo modo infatti sarà in grado di sopportare ancora meglio la fatica e, se qualcuno lo dovesse trarre verso di sé o spingere, più difficilmente sarebbe disarcionato. [7, 8] E una volta che si trova ad essere seduto, bisogna che insegni al cavallo a stare tranquillo finché il cavaliere si è tirato su le vesti, nel caso in cui ce ne fosse bisogno, e ha pareggiato le redini e ha afferrato la lancia in modo che gli risulti facile portarla; e poi deve tenere il braccio sinistro appoggiato al fianco: così infatti il cavaliere sarà molto stabile e la mano particolarmente pronta. [7, 9] Per quanto riguarda le redini, ritengo opportuno che siano di uguale lunghezza, non deboli e scivolose né troppo spesse, affinché la mano sia in grado di tenere anche la lancia quando ciò fosse necessario. [7, 10] E quando il cavaliere dà al cavallo l’ordine di procedere, deve iniziare al passo: questa è infatti l’andatura più tranquilla. E se il cavallo tende a tenere la testa bassa, il cavaliere deve tenere le redini con le mani più alzate, se invece il cavallo tende a procedere a testa alta, deve tenere le redini più in basso: in questo modo infatti rende particolarmente elegante l’andatura. [7, 11] E dopo di ciò passando al trotto può ottenere il risultato di rilassare il corpo in modo del tutto indolore e di giungere in maniera molto piacevole al momento di usare la sferza (secondo me meglio passare al galoppo-n.d.t). E dal momento che è più dignitoso iniziare da sinistra, in questo modo potrebbe in particolare iniziare da questa parte, e cioè se, mentre il cavallo sta correndo al trotto, il cavaliere dà al cavallo l’ordine di mettersi al galoppo nel momento in cui entra/si appoggia nel destro (scil. piede). [7, 12] Infatti in questo modo inizierebbe proprio nel momento in cui sta per sollevare il piede sinistro, e quando si gira verso sinistra, allora anche inizierebbe il galoppo. E infatti il cavallo è portato per natura a procedere sugli arti destri quando gira verso destra, sui sinistri quando gira verso sinistra. [7, 13] E tra gli esercizi equestri apprezzo in particolare quello chiamato ceppo: infatti abitua il cavallo a cambiare direzione su entrambe le mascelle. E il fatto di cambiare la direzione della corsa è positivo allo scopo di far sì che le mascelle siano di eguale dimensione per entrambe le direzioni della corsa (a senso: affinché il cavallo sia altrettanto capace di girare verso destra che verso sinistra). [7, 14] E apprezzo maggiormente il ceppo di diversa lunghezza nelle due direzioni che quello circolare. In questo modo infatti il cavallo, essendo già sazio della corsa diretta si gira più volentieri e si esercita nel contempo sia a correre in direzione rettilinea che a piegare la direzione della corsa. [7, 15] E bisogna anche rallentare nei cambi di direzione: infatti non è né facile né sicuro per il cavallo quando è in velocità deviare in breve tratto, soprattutto se il terreno è scosceso e scivoloso. [7, 16] E quando poi rallenta, bisogna che il cavaliere eviti assolutamente sia di piegare il cavallo col freno, sia di piegarsi; in caso contrario, bisogna tener ben presente che anche un piccolo motivo sarà sufficiente a far sì che sia il cavaliere che il cavallo si ritrovino a terra. [7, 17] E quando poi il cavallo, dopo aver cambiato direzione, il cavallo guarda diritti verso il davanti, a questo punto il cavaliere deve farlo accelerare. È chiaro infatti che anche nelle battaglie i cambi di direzione avvengono allo scopo o di inseguire o di ritirarsi. È bene dunque che il cavallo sia esercitato ad accelerare dopo aver cambiato direzione. [7, 18] E quando sembra che l’allenamento sia sufficiente per il cavallo è bene spronarlo di nuovo alla massima velocità dopo averlo fatto riposare, e tuttavia dai cavalli, non contro i cavalli; ed è bene che impari anche a fermarsi nel più breve tratto possibile durante una corsa veloce; e a ripartire da fermo cambiando direzione: è chiaro infatti che prima o poi arriverà il momento in cui ci sarà bisogno di tutte queste abilità; e quando poi è giunto il momento di scendere, bisogna abituare il cavallo ad ottenere il riposo esattamente nel punto in cui è costretto anche a faticare senza che ci si debba ritrovare nella necessità di scendere in mezzo ad altri cavalli né presso un gruppo di persone né al di fuori del percorso equestre.

[8, 1] E dal momento che talvolta sarà necessario che il cavallo corra sia in discesa che in salita che di fianco, e talvolta bisognerà che salti oltre un ostacolo, e qualche volta balzi dal basso verso l’alto, talvolta in fine dall’alto verso il basso, in tutte queste abilità bisogna anche che lo si ammaestri e che sia il cavaliere che il cavallo si esercitino. Così infatti cavallo e cavaliere possono diventare mezzo di salvezza l’uno per l’altro e in generale possono apparire più all’altezza della situazione. [8, 2] E se qualcuno crede che io mi ripeta per il fatto che ora parlo degli stessi argomenti di cui ho già parlato prima, in realtà non si tratta di una ripetizione. Quando infatti si parlava dell’acquisto, io consigliavo di appurare se il cavallo fosse in grado di fare queste cose; ora invece affermo che bisogna ammaestrare il proprio cavallo e scriverò come bisogna ammaestrarlo. [8, 3] Infatti se un cavallo è del tutto privo di esperienza nell’oltrepassare un ostacolo con un salto, allora bisogna che il cavaliere, deposto il guinzaglio, attraversi lui stesso il fossato. Poi bisogna che lo trascini con il guinzaglio in modo che salti. [8, 4] E se non è disposto a farlo, allora bisogna percuoterlo con la massima forza possibile con una frusta o con un bastone; e in questo modo salterà oltre l’ostacolo non quanto basta, ma molto più del necessario; e da quel momento in poi non ci sarà affatto bisogno di percuoterlo, ma per saltare gli basterà vedere qualcuno che gli si avvicina da dietro. [8, 5] E una volta che il cavallo si è così abituato a saltare un ostacolo, allora il cavaliere stando montato gli deve far saltare prima ostacoli piccoli e poi anche più grandi. E quando è sul punto di spiccare il salto, lo deve colpire (sic! n.d.t) con lo sprone (in greco è la stessa parola che tafano- n.d.t) . E analogamente bisogna che il cavaliere lo ammaestri a saltare verso l’alto e verso il basso colpendolo con lo sprone. Infatti facendo tutte queste cose con il corpo raccolto il cavallo si comporterà sia per sé che per il cavaliere in maniera più sicura che se lasciasse indietro la parte posteriore del corpo nel momento in cui salta oltre un ostacolo o salta verso l’alto o verso il basso. [8, 6] E all’inizio bisogna ammaestrarlo a correre in un pendio su un terreno privo di asperità e alla fine, quando si sarà abituato a questo, correrà molto più volentieri in discesa che in salita. E per quanto riguarda il fatto che alcuni temono che ai cavalli si spezzino le spalle se li si fa correre in discesa, stiano pure tranquilli tenendo presente che tutti i Persiani e gli Odrisii, che pure praticano gare equestri in discesa, hanno i cavalli non meno sani dei Greci. [8, 7] E non trascurerò neppure di spiegare come bisogna che il cavaliere affronti ciascuna di queste situazioni. Quando infatti il cavallo scatta improvvisamente, bisogna che il cavaliere si abbassi in avanti: in questo modo infatti diminuisce il rischio che il cavallo si sottragga da sotto e disarcioni il cavaliere; se invece si riprende in breve bisogna che il cavaliere si pieghi all’indietro: in questo modo infatti egli corre meno il rischio di farsi male/rimanere schiacciato. [8, 8] E mentre il cavallo salta oltre un fossato e si drizza verso l’alto è buona cosa che il cavaliere si aggrappi alla criniera, in modo che il cavallo non sia infastidito sia dal luogo che dal freno. In discesa poi bisogna che il cavaliere sia si mantenga in posizione più supina sia cerchi di trattenere il cavallo con il freno, per evitare che sia lui che il cavallo si muovano in discesa troppo precipitosamente. [8, 9] Ed è cosa corretta anche il fatto di praticare le esercitazioni di equitazione ora in certi tipi di terreno, ora in altri, ora prolungate, ora brevi. Infatti questo le renderà anche meno sgradite al cavallo di quanto succede se le esercitazioni si praticano sempre negli stessi luoghi e sono tutte uguali. [8, 10] E dal momento che bisogna che il cavaliere stia a cavallo spingendolo in velocità su terreni di ogni genere e che da cavallo sia in grado di usare bene le armi, nel caso in cui ci siano a disposizione terreni adatti e selvaggina, non è da disprezzare l’esercizio dell’equitazione che si pratica nella caccia; dove invece queste condizioni non sussistono, è un buon allenamento anche quello in cui due cavalieri, dopo essersi messi d’accordo, fanno quanto segue: uno fugge a cavallo su terreni di ogni genere e avanza tenendo la lancia rivolta all’indietro, l’altro invece lo insegue tenendo giavellotti con la punta arrotondata e una lancia trattata allo stesso modo, e quando giunge a portata di giavellotto cerca di colpire quello che fugge lanciando i giavellotti dalla punta arrotondata, quando invece giunge alla distanza giusta per poterlo attaccare con la lancia, allora colpisce con la lancia l’altro cavaliere che ormai è stato raggiunto. [8, 11] Ed è anche bene, se per caso giungono allo scontro, che l’uno cerchi di respingere improvvisamente l’avversario dopo strattonato violentemente. Questa mossa infatti è decisiva allo scopo di abbattere l’avversario. Ed è anche opportuno per colui che viene strattonato dall’avversario spronare il cavallo: facendo questo infatti colui che viene strattonato ha maggiori probabilità di abbattere colui che lo strattona che di essere disarcionato. [8, 12] E se per caso due eserciti si affrontano e i due corpi di cavalleria vengono allo scontro e corrono all’inseguimento degli avversari fino alla falange nemica o fuggono fino alla falange dei propri compagni di battaglia, è bene anche a questo punto sapere che finché uno si trova vicino ai suoi, è cosa buona e sicura che, dopo aver fatto una inversione di marcia, passi all’attacco stando vicino alla prima fila, quando invece si trova vicino ai nemici tenga controllato il cavallo (=si tenga a debita distanza-n.d.t.). Così infatti, come è ovvio, ha molte possibilità di danneggiare i nemici senza essere danneggiato da loro. [8, 13] Orbene, agli uomini gli dei hanno concesso la possibilità di insegnare all’uomo mediante la parola quello che bisogna fare, mentre è chiaro che ad un cavallo non potresti insegnare nulla tramite la parola; ma se quando si comporta come tu vorresti lo gratifichi in qualche modo e quando invece disobbedisce lo punisci, allora il cavallo può imparare a fare quanto necessario. [8, 14] E questo si può dire in poche parole, ma le conseguenze si estendono a tutta la pratica dell’equitazione. E infatti il cavallo sarà più disposto ad ricevere il freno se quando lo accetta gliene deriva qualche vantaggio; e potrà saltare ostacoli e balzare verso l’alto e compiere tutte le altre azioni necessarie, se sarà messo in condizione di prevedere che gli sia concessa una qualche gratificazione dopo che avrà eseguito gli ordini.

[9, 1] E queste cose che ho detto hanno lo scopo di evitare che uno che compra un puledro o un cavallo si faccia imbrogliare o che lo rovini nel farne uso e di consentirgli di verificare, nel caso in cui fosse necessario, se il cavallo possiede i requisiti richiesti dal cavaliere in vista della guerra. Ma forse è giunto il momento di scrivere anche quale debba essere il comportamento più opportuno da tenere rispettivamente nel caso in cui capitasse di avere a che fare con un cavallo più focoso o più pigro di quanto auspicabile. [9, 2] Innanzitutto dunque bisogna sapere questo, e cioè che l’ardimento per il cavallo è la stessa cosa che l’ira per l’uomo. Come dunque in un uomo non si provoca affatto l’ira a meno che non gli si dica o faccia qualcosa di spiacevole, così anche un cavallo focoso non lo si irrita affatto a meno che non lo si infastidisca. [9, 3] Fin dall’inizio dunque nell’atto di salire bisogna aver cura di non infastidirlo proprio salendo; e una volta saliti, dopo essere rimasti fermi per un tempo superiore al normale, a questo punto metterlo in movimento incitandolo in modo per quanto possibile benevolo; e poi iniziando da un’andatura particolarmente lenta gradualmente condurlo a maggiore velocità in modo tale che, per quanto possibile, il cavallo non si accorga di raggiungere un’andatura veloce. [9, 4] E per quanto riguarda gli ordini improvvisi, bisogna tener presente che un cavallo focoso, come un uomo, si spaventa quando vede, sente e in generale avverte qualche cosa all’improvviso. D’altra parte bisogna sapere che anche in un cavallo le sensazioni improvvise producono turbamento. [9, 5] E anche nel caso in cui il cavaliere intenda far rallentare un cavallo focoso che corre con velocità maggiore del necessario, non bisogna che tiri le redini bruscamente, ma deve tranquillamente ricorrere al freno e dimostrarsi tranquillo ricorrendo alle buone maniere e non usando modi violenti. [9, 6] E le cavalcate prolungate piuttosto che le frequenti deviazioni di direzione ammansiscono i cavalli. E le cavalcate tranquille e di lunga durata tranquillizzano e calmano il cavallo focoso senza peraltro risvegliare la sua irritabilità. [9, 7] Ma se qualcuno crede di poter calmare il cavallo stancandolo con cavalcate frequenti e veloci, pensa esattamente l’opposto di quello che in realtà succede. In tale situazione infatti il cavallo focoso incomincia particolarmente a procedere con violenza e spesso, nel suo comportamento determinato dall’ira, come un uomo adirato compie azioni dall’esito irrimediabile sia per sé che per il cavaliere. [9, 8] Bisogna invece trattenere il cavallo focoso e allora evitare assolutamente sia di spingerlo a gran velocità sia di accostarlo ad un cavallo: quasi sempre infatti i cavalli in queste situazioni diventano più che mai focosi ed aggressivi. [9, 9] E sono più adatti i morsi lisci rispetto a quelli ruvidi. E se è stato applicato un morso ruvido, bisogna renderlo simile ad uno liscio mantenendo allascate le redini. E bisogna anche abituarsi a stare tranquilli, soprattutto quando ci si trova in groppa ad un cavallo focoso, e a toccare quanto meno possibile qualsiasi altra parte del cavallo che non sia una di quelle che tocchiamo allo scopo di stare seduti con sicurezza. [9, 10] E bisogna sapere che è ottimo insegnamento quello di abituarlo a rallentare fischiettando e ad accelerare facendo schioccare la lingua, e se fin dall’inizio uno associa le buone maniere allo schiocco della lingua e le maniere brusche al fischiettare, il cavallo può anche imparare ad accelerare quando si fischietta e a rallentare quando si fa schioccare la lingua. [9, 11] Così dunque bisogna, sia al grido di battaglia sia al suono della tromba, evitare di dare al cavallo l’impressione di essere turbati e tanto più di determinare in lui un qualche motivo di turbamento, ma, entro i limiti del possibile, sia farlo riposare in questo frangente sia possibilmente fargli prendere un pasto. [9, 12] Ma è un ottimo suggerimento quello di non acquistare un cavallo troppo focoso in vista della guerra. Invece nei confronti di un cavallo pigro mi sembra sia sufficiente scrivere che conviene fare tutto l’opposto rispetto al comportamento che consiglio di tenere nei confronti del cavallo focoso.

[10, 1] Se poi uno vuole trattare il cavallo adatto alla battaglia in modo che la sua andatura appaia per quanto possibile dignitosa ed elegante, bisogna che si astenga dallo strattonare la bocca con il morso e dallo spronare e frustare il cavallo, azioni che i più credono siano tali da farli apparire splendidi: infatti costoro ottengono il risultato esattamente opposto a quello che vorrebbero ottenere. [10, 2] Infatti strattonando la bocca verso l’alto impediscono ai cavalli di guardare in avanti e li rendono di fatto ciechi, mentre spronandoli e percuotendoli li spaventano, tanto da renderli ombrosi e pericolosi. Questi sono comportamenti da tenersi nei confronti di cavalli particolarmente refrattari alla pratica dell’equitazione ed abituati a mantenere una condotta disdicevole e per nulla elegante. [10, 3] Se invece uno insegna al cavallo a cavalcare con il morso allentato e a tener ben alzato il collo e a piegarsi solo dalla testa, così può ottenere il risultato di far fare al cavallo esattamente ciò che gli fa piacere e di cui è fiero. [10, 4] Prova ne sia il fatto che proprio questi comportamenti gli piacciono: quando infatti intende farsi bello davanti ad altri cavalli, soprattutto se femmine, allora solleva in alto il collo e piega più che mai la testa assumendo un portamento altezzoso e solleva bene in alto le zampe agilmente e innalza la coda. [10, 5] Se dunque uno lo induce a mantenere proprio quegli atteggiamenti che egli stesso assume quando vuole particolarmente far bella mostra di sè, allora rende il cavallo appagato per la cavalcata ed elegante e fiero ed ammirato. Ora dunque cercherò di spiegare come ritengo che tutto questo si possa ottenere. [10, 6] Prima di tutto bisogna possedere non meno di due morsi. Di questi uno deve essere liscio e fornito di anelli abbastanza grandi, l’altro deve avere gli anelli sia pesanti che bassi e i ricci appuntiti affinché, quando riceve questo, soffrendo per la sua asperità per questo motivo lasci stare (scil. il morso), quando invece gli viene messo in sostituzione il morso liscio, provi una sensazione piacevole in seguito alla sua levigatezza e sia poi in grado di fare, pure in presenza del morso liscio, le stesse cose che è stato addestrato a fare con l’uso del morso ruvido. [10, 7] Se però, per il fatto di non dare importanza al morso liscio, vi si appoggia spesso, proprio per questo scopo applichiamo gli anelli grandi al morso liscio, affinché, essendo da quelli costretto a tenere la bocca aperta, allontani il morso. Ed è anche possibile rendere di varia lunghezza il morso ruvido sia avvolgendolo a spirale sia tendendolo. [10, 8] Ma di qualunque tipo siano i morsi, tutti devono comunque essere flessibili. Quello rigido infatti, quando il cavallo lo riceve, lo tiene tutto attaccato alle mascelle, come anche una sbarra di ferro, quando uno la raccoglie, la solleva tutta. [10, 9] Quell’altro invece si comporta come la catena: infatti di quella rimane rigido solo quell’anello che uno tiene, mentre il resto ne pende giù. E il cavallo, cercando sempre nella bocca ciò che fugge, allontana dalla mascella il morso; e proprio a questo scopo anche gli anelli centrali pendono dagli uncinetti (del morso), e cioè affinché il cavallo, inseguendoli con la lingua e con i denti, faccia a meno di far risalire il morso verso le mascelle. [10, 10] Ma se qualcuno ignora in che cosa consiste la flessibilità e la rigidità del morso, scriverò anche questo. Flessibilità c’è quando gli uncinetti hanno le congiunture larghe e lisce, in modo tale che si possono facilmente piegare; e tutte le cose che si mettono intorno agli uncinetti, se sono di apertura larga e non compatte, sono più flessibili. [10, 11] Se invece le singole parti del morso scorrono e si snodano con difficoltà, questo si traduce in rigidità. Ma di qualsiasi tipo sia (scil. il morso), con questo bisogna fare comunque tutte le seguenti cose, se proprio si vuole far sì che il cavallo assuma le caratteristiche di cui si è detto: [10, 12] bisogna tirare indietro la bocca del cavallo né troppo violentemente, tanto da fargli piegare la testa lateralmente, né troppo dolcemente, tanto da impedirgli di averne sensazione; e quando, dopo aver tirato indietro la testa, solleva il collo, bisogna mollare subito il freno. E per il resto bisogna, come ho detto continuamente, gratificare il cavallo nel momento in cui si comporta bene. [10, 13] E quando il cavaliere si accorge che il cavallo è contento di tenere alto il collo e di sentire che le redini sono allentate, in questo momento non bisogna che provochi in lui nessuna sensazione sgradita, come farebbe uno che lo costringe a faticare, ma bisogna che lo tratti affettuosamente come uno che vuole fare una cavalcata: in questo modo infatti il cavallo si entusiasma spingendosi fino alla cavalcata veloce. [10, 14] E del fatto che il cavallo prova piacere anche nel correre velocemente, questa è la dimostrazione: nessun cavallo infatti quando fugge via procede al passo, ma corre. Infatti è portato per natura a provare piacere in questo, a meno che uno non lo costringa a correre più della misura giusta; d’altra parte nessuna cosa che superi la misura giusta è gradevole né per il cavallo né per l’uomo. [10, 15] Quando dunque fosse giunto a cavalcare con nobiltà di portamento, io ero solito durante la prima cavalcata dopo la deviazione di direzione spingere il cavallo a maggior velocità. Ma se uno, quando il cavallo ha appreso questo, si attacca al freno e dà qualche segnale di incitamento, a questo punto, strattonato dal freno ed eccitato dal fatto di sentire gli incitamenti, si solleva tanto da spingere in avanti il petto e solleva in alto le zampe adirato, ma tuttavia non rilassate: infatti i cavalli quando sono infastiditi non hanno le zampe per nulla rilassate. [10, 16] Ma se uno, dopo averlo così reso focoso, molla il freno, a questo punto per il piacere che gli viene dal fatto di credere di essersi liberato dal morso, visto che le redini sono allentate, allora procede con portamento nobile e fiero, cavalcando orgogliosamente e tenendo le zampe rilassate, imitando perfettamente la parata di cavalleria (lett. il pavoneggiamento davanti a cavalli [n.d.t]). [10, 17] E coloro che guardano un cavallo del genere lo chiamano magnanimo e volonteroso e buon cavalcatore e animoso e impetuoso e ancora piacevole e fiero a vedersi. E se qualcuno desidera queste qualità, bastino questi consigli che ho scritto fino a questo punto.

[11, 1] Se invece uno vuole avere a che fare con un cavallo da parata e altero e splendido, sappia che queste caratteristiche non si ottengono da qualsiasi cavallo, ma solo da quello che possiede sia un’indole generosa sia un fisico ben robusto. [11, 2] Tuttavia quello che alcuni credono, e cioè che il cavallo che possiede zampe agili/rilassate, sarà anche in grado di sollevare il corpo, non è affatto vero; ma piuttosto quello che ha il fianco (cfr. 1, 12) snello e corto e robusto (e non parlo di quello che sta presso la coda, ma di quello che si trova tra i fianchi e (cfr. 1, 13) i femori presso (1, 12) la cavità che sta tra le coste e l’anca, questo sarà in grado di portare in avanti le zampe posteriori al di sotto di quelle anteriori. [11, 3] Se dunque uno, nel momento in cui il cavallo ha le zampe posteriori sotto quelle anteriori, cerca di sollevarlo col morso, il cavallo si alza sulle zampe posteriori facendo leva sui talloni e solleva la parte anteriore del corpo tanto che dal davanti si vedono la pancia e i genitali. Ora bisogna, anche quando fa così, mollare il freno, affinché a quelli che guardano dia l’impressione di fare volentieri le manovre più spettacolari che può fare un cavallo. [11, 4] Ci sono tuttavia di quelli che insegnano anche queste abilità alcuni percuotendo con un bastone sotto i talloni, altri che consigliano di percuotere sotto le cosce con un bastone il cavallo mentre sta correndo. [11, 5] Io invece penso, come dico sempre, che il migliore degli insegnamenti si realizzi nel caso in cui ogni volta che il cavallo si comporta come intende il cavaliere gliene venga una qualche soddisfazione. [11, 6] Le cose che infatti un cavallo fa sotto costrizione, come afferma anche Simone, né le sa fare bene né sono belle, esattamente come se uno facesse andare a ritmo un danzatore frustandolo e pungolandolo: infatti chi subisca un simile trattamento, sia un cavallo o un uomo, è molto più facile che si muova in maniera sgraziata piuttosto che con eleganza. Al contrario bisogna che il cavallo metta in mostra le manovre più belle e più splendide su esortazione e di buon grado. [11, 7] E se anche quando cavalca procede fino ad essere molto sudato, e quando si solleva con eleganza, si abbassa subito dopo e si lascia togliere il morso, allora si può stare certi che il cavallo accetterà di buon grado di sollevarsi; [11, 8] sia dei che eroi vengono rappresentati mentre cavalcano appunto su cavalli di questo genere, e gli uomini che li sanno usare bene ci fanno una gran bella figura. [11, 9] Ed il cavallo che riesce a sollevarsi è a tal punto oggetto di ammirazione da attirare su di sé gli sguardi di tutti coloro che stanno a guardare, sia giovani che vecchi. Nessuno riesce proprio ad allontanarne lo sguardo né si stanca di ammirarlo finché mette in mostra il proprio splendore. [11, 10] E se poi capita ad uno di quelli che possiedono un simile cavallo di ricoprire la carica di filarco1 o di ipparco2, non bisogna che egli si preoccupi di essere solo lui oggetto di ammirazione, ma deve piuttosto preoccuparsi di far sì che tutto il corpo che lo segue offra un bello spettacolo. [11, 11] Se dunque conduce il gruppo [quanto insistono nell’esaltare i cavalli di questo genere]3 quel cavallo che procede sollevandosi più che mai in alto e spessissimo col corpo molto accorciato, è chiaro che gli altri cavalli lo seguono anche al passo. E dal fatto di vedere una cosa del genere che cosa di splendido potrebbe derivare? [11, 12] Se invece dopo aver esortato il cavallo tu apri il gruppo né troppo velocemente né troppo lentamente e i cavalli diventano più che mai contenti e fieri ed eleganti, se dunque tu guidi il gruppo in questo modo, ne consegue che il rumore degli zoccoli ed il fremito ed il respiro dei cavalli si fanno sentire simultaneamente, al punto che non solo il cavallo che apre il gruppo, ma anche tutti quelli che lo seguono offrono uno splendido spettacolo. [11, 13] Se dunque uno sceglie bene il cavallo al momento dell’acquisto, lo alleva in modo tale da renderlo capace di sopportare le fatiche e lo tratta in maniera corretta sia nelle esercitazioni militari, sia nelle cavalcate da parata sia nelle battaglie, che cosa può a questo punto impedire a costui di far sì che i suoi cavalli assumano un pregio maggiore di quelli che prende in consegna e di avere cavalli che fanno bella figura e di fare bella figura lui stesso, a meno che un qualche evento sfortunato non glielo impedisca?

[12, 1] Ma voglio scrivere anche come deve essere armato chi sta per rischiare la vita stando a cavallo. Prima di tutto dico che bisogna che la corazza sia fatta a misura del fisico. Quella che infatti si adatta bene la sostiene tutto il corpo, quella troppo larga invece la sostengono soltanto le spalle, mentre quella che è troppo stretta costituisce un impedimento piuttosto che un’armatura. [12, 2] Ma poiché anche il collo è una delle parti vitali, io dico che anche per quello ci deve essere una protezione della stessa misura del collo attaccata alla corazza. Questa infatti offrirà al contempo ornamento e, se è fatta come si deve, potrà proteggere il volto del cavaliere, quando lo voglia, fino al naso. [12, 3] E per quanto riguarda l’elmo, penso che il migliore sia quello di fattura beotica: questo infatti protegge più che mai tutte le parti che sporgono dalla corazza, ma non impedisce di vedere. La corazza poi deve essere fatta in modo tale da non impedire né di stare seduti né di piegarsi in avanti. [12, 4] E per quanto riguarda il basso ventre e i genitali e le parti circostanti le falde (in greco ali=lamine attaccate in fondo alla corazza-n.d.t.) devono essere di dimensione e forma tali da respingere i dardi. [12, 5] Ma dal momento che anche la mano sinistra, se le succede qualcosa, può determinare l’abbattimento del cavaliere, anche per quella io suggerisco quell’armatura che è stata inventata e che è chiamata mano. Essa infatti protegge la spalla, e il braccio e l’avambraccio e la parte della mano che si attacca alle redini ed è possibile sia tenderla che piegarla; ed oltre a ciò copre anche la zona sotto l’ascella non protetta dalla corazza. [12, 6] La mano destra bisogna che il cavaliere la possa alzare, sia che voglia lanciare dardi sia che intenda abattere l’avversario. Di conseguenza la parte di corazza che fa da impedimento in questa zona bisogna toglierla; e al posto di quella bisogna applicare delle falde nelle commessure della corazza in modo che, quando il cavaliere alza il braccio, si possano dispiegare, quando invece lo abbassa, si richiudano. [12, 7] Per quanto riguarda il braccio la protezione applicata a mo’ di schiniere mi sembra che sia migliore di quella legata insieme all’armatura. E la parte della mano destra che rimane scoperta quando viene sollevata bisogna proteggerla vicino alla corazza con una protezione di cuoio di vitello o di bronzo; altrimenti resterà scoperta proprio nel punto più delicato. [12, 8] Ma poiché, se capita qualcosa al cavallo, anche il cavaliere si viene a trovare coinvolto in ogni forma di pericolo, bisogna armare anche il cavallo con un frontale e con un pettorale e con dei gambali; questi infatti costituiscono dei gambali anche per il cavaliere. Ma del cavallo bisogna proteggere più che mai la cavità che sta fra le coste e l’anca: infatti oltre ad essere particolarmente vitale questa parte è anche molto vulnerabile; ma è possibile proteggere anche questa assieme alla sella. [12, 9] Ma bisogna che anche la gualdrappa sia cucita in modo tale che sia il cavaliere possa stare seduto in modo più sicuro sia la schiena del cavallo non ne venga danneggiata. E per le altre parti in questo modo sia il cavallo che il cavaliere potremmo considerarli armati. [12, 10] Gli stinchi ed i piedi però sporgerebbero naturalmente dai gambali; ma anche queste parti si potrebbero proteggere se si applicassero delle pianelle di cuoio, di quello con cui si fanno calzari: in questo modo ci sarebbero contemporaneamente sia protezione per gli stinchi sia calzature per i piedi. [12, 11] Orbene, queste sono le armature che permettono di non subire danni, sempre che gli dei siano benevoli. Ma allo scopo di recare danno ai nemici, io consiglio più la spada corta che quella lunga (in greco: μάχαιρα e ξίφος): infatti al cavaliere, visto che si trova in posizione elevata, sarà sufficiente il colpo di un’arma corta più che di una lunga spada. [12, 12] E al posto della lancia fatta a mo’ di pertica, visto che è sia debole che difficile da portare, suggerisco piuttosto i due giavellotti di corniolo. Ed infatti è sia possibile, per chi ne sia capace, lanciarne uno, sia si può fare uso di quello rimanente per colpire sia di fronte che di fianco che dietro; e nel contempo rispetto alla lancia sono sia più robusti che più facili da portare. [12, 13] Per quanto riguarda invece il lancio del giavellotto, suggerisco il più lungo: e infatti in questo modo il tempo consente di più di allontanarsi che di maneggiare il dardo. Ma scriverò in breve anche come uno potrebbe lanciare il dardo nel modo migliore. Se infatti uno spingendo in avanti la mano sinistra, alzando la destra e sollevandosi bene sulle gambe scaglia la lancia puntata un po’ verso l’alto, in questo modo lancerà il dardo in modo più che mai violento e a grande distanza. Colpirà tuttavia il bersaglio con il massimo di precisione se la lancia mentre viene scagliata resta sempre puntata verso il bersaglio. [12, 14] Le cose che ho scritto intendo che costituiscano appunti, nozioni ed esercitazioni per chi non è addetto ai lavori. Quanto invece era indispensabile conoscere e saper fare per un comandante di cavalleria è stato esposto in un altro trattato [si tratta appunto dell’Ipparchico-n.d.t.]

1 Comandante di uno dei 10 corpi di cavalleria forniti ciascuno da una phylè (tribù) delle 10 in cui era suddivisa la cittadinanza ateniese.

2 Ad Atene in età classica 2 ipparchi (comandanti della cavalleria) comandavano sui 10 filarchi.

3 Si tratta di una glossa interlineare inserita poi erroneamente nel testo. Quindi le parentesi quadre, che indicano espunzione.

4 Le cruces indicano un locus desperatus, cioè un passo che ci è giunto con errori di cui al momento non esiste una proposta plausibile di correzione.