Sistemi di numerazione nella Grecia antica

Nella cultura greca la conoscenza e lo studio dell'aritmetica (da ἀριθμός, numero) furono molto importanti, come si può desumere da numerose testimonianze letterarie. D'altra parte una delle prime scuole filosofiche della grecità, il pitagorismo, dedicò un'attenzione particolare al numero, inteso come fondamento logico della realtà. La propensione all'astrazione, caratteristica del pensiero greco, si manifestò inevitabilmente anche nello studio teorico dell'aritmetica e della geometria (da γῆ, terra e μέτρον, misura).

Nonostante ciò i sistemi utilizzati dai Greci per scrivere i numeri furono piuttosto scomodi e complicati, almeno se confrontati con il sistema delle cifre arabiche che ora noi utilizziamo. D'altra parte lo stesso discorso vale per il sistema in uso presso i Romani. Come sempre, il percorso che porta alla semplificazione è lungo e faticoso.

I Greci utilizzarono due diversi sistemi per scrivere i numeri. Il sistema più antico, detto acrofonico (da ἄκρος, estremo, iniziale e φωνή, voce) era costituito da un gruppo di segni indicanti appunto l'iniziale della parola con cui venivano chiamati alcuni numeri particolarmente significativi, come l'unità, il 5, 10, 100, 1.000 e 10.000.

L'altro sistema, che si diffuse a partire dall'età ellenistica e che fu l'unico ad essere poi utilizzato nei testi scritti, consiste nell'assegnazione convenzionale di valori numerici alle lettere dell'alfabeto greco sulla base della loro posizione, motivo per cui questo secondo sistema è detto alfabetico. In questo sistema la necessità impose l'utilizzo di tre segni caratteristici degli alfabeti arcaici, ma non più presenti nell'alfabeto ionico:Ϛ (stigma),Ϡ (sampi) eϞ (coppa, quella che sarà poi la Q nell'alfabeto latino).

Da notare che in nessuno dei due sistemi è previsto un segno per indicare lo zero.

Uno svantaggio presente in entrambi i sistemi è dato dal fatto che risultava impossibile eseguire qualsiasi calcolo mediante l'incolonnamento dei simboli utilizzati. Proprio per questo motivo gli antichi dovevano ricorrere all'uso dell'abaco per tutti i calcoli necessari nelle diverse situazioni quotidiane.

Un altro grave limite dei due sistemi di numerazione è costituito dall'estrema difficoltà di indicare valori molto elevati. Ne era consapevole Archimede di Siracusa, che nel trattatello intitolato Arenario (in Greco Ψαμμίτης) affronta il problema di come indicare il numero di granelli di sabbia che sarebbero necessari per riempire l'universo, giungendo a proporre la teoria dei periodi: il valore dei simboli numerici viene stabilito sulla base della posizione che essi assumono all'interno di una sequenza di simboli. Esattamente quello che succederà nei sistemi attuali: il simbolo 1 vale uno se è collocato in ultima posizione, 10 se in penultima, 100 se in terzultima, ecc...

A proposito di sistemi di numerazione, ricorda che un sistema specifico fu escogitato allo scopo di far riferimento ai testi omerici. In età ellenistica, forse proprio per questo scopo, sia l'Iliade che l'Odissea furono divise in 24 libri, ciascuno dei quali veniva indicato, nell'ordine, con una delle 24 lettere dell'alfabeto greco. Le maiuscole facevano riferimento all'Iliade, le minuscole all'Odissea. Questo sistema di citazione, utilizzato tuttora da qualche studioso, risulta molto più compatto di quello tradizionale. Per esempio:

Δ 75 equivale a Hom. Il. IV 75;

ζ 50 equivale a Hom. Od. VI 50.

Per quanto riguarda gli aggettivi numerali cardinali, ricorda che sono declinabili i primi quattro, oltre a tutti i numeri indicanti le centinaia e le migliaia che si declinano, naturalmente solo al plurale, come gli aggettivi della prima classe a 3 uscite.

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