Poesia quantitativa e accentuativa

Le lingue classiche, sia il Greco che il Latino, si differenziano dalle nostre lingue, oltre che per molti altri aspetti, in particolare per il fatto di distinguere consapevolmente, nell'ambito delle parole, sillabe brevi e sillabe lunghe. Come dire che le singole sillabe hanno una durata che di volta in volta è determinata da vari fattori: la durata della vocale che costituisce la sillaba, il fatto che si tratti di sillaba aperta o chiusa, terminante cioè in vocale o consonante, ecc…. Quello che importa è il fatto che ogni parola è costituita da una sequenza di sillabe, ciascuna delle quali è lunga o breve. Normalmente il rapporto di durata tra sillaba lunga e sillaba breve doveva essere di 2 a 1, esattamente lo stesso rapporto che sussiste tra una semiminima ♩ e una croma ♪, ma è certo che, nella pratica della poesia, in alcuni casi il rapporto poteva variare, col risultato che la sillaba lunga nella poesia recitata poteva durare anche quanto 3 o 4 sillabe brevi, nella poesia cantata addirittura 6 brevi.

In una normale sequenza di parole, quale potrebbe essere un qualsiasi brano in prosa, il susseguirsi di sillabe lunghe e brevi è inevitabilmente irregolare, con la conseguenza che la lettura di un brano in prosa non dà come risultato nessuna percezione di ritmicità. Diverso il discorso per la poesia, che proprio in questo si distingue dalla prosa: la successione di sillabe lunghe e brevi deve presentare una qualche regolarità, tale da garantire la ritmicità della lettura di un brano poetico. Per metrica si intende appunto lo studio sistematico dei ritmi della poesia, determinati da una successione regolare di sillabe lunghe e di sillabe brevi.

Da queste premesse risulta chiara la peculiarità della poesia classica rispetto alle nostre più recenti forme di poesia, la cui musicalità è determinata dalla presenza della rima, o dal susseguirsi di versi caratterizzati da un identico numero di sillabe o dalla collocazione degli accenti tonici della parola su sillabe prestabilite. È per questo che si parla di poesia quantitativa e accentuativa per indicare rispettivamente la poesia classica e le altre forme di poesia.

Un'ulteriore precisazione si rende necessaria per comprendere meglio la natura della poesia classica. Nella prassi scolastica la lettura metrica della poesia greca o latina, rispettosa della quantità delle sillabe, produce un effetto strano, esteticamente piuttosto discutibile: l'impressione è quella di uno spostamento artefatto degli accenti tonici delle parole rispetto alla loro naturale collocazione. Per esempio, il primo verso dell'Eneide di Virgilio

Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris

in una lettura normale, rispettosa degli accenti tonici delle singole parole, sarebbe sentito come

Árma virúmque cáno, Tróiae quí prímus ab óris

mentre la lettura metrica, rispettosa della durata delle singole sillabe, darebbe questo risultato:

Árma virúmque canó, Troi quí prímus ab óris

Questa presunta artificiosità o lontananza della lettura metrica dalla pronuncia comune del Latino o del Greco è spesso alla base di scelte scolastiche rinunciatarie che si traducono talvolta in una totale disattenzione nei confronti di un aspetto fondamentale in tutta la produzione poetica del mondo antico. Per comprendere quanto fosse importante la metrica per la cultura antica basti ricordare che Virgilio, nel comporre l'Eneide, dopo aver messo a punto la narrazione dettagliata in prosa, si dedicò alla versificazione riuscendo a comporre mediamente due versi al giorno, con risultati, nonostante ciò, per lui non soddisfacenti.

Il fatto è che, per quanto ritmicamente corretta, la nostra lettura metrica è manchevole e certamente molto diversa dalla lettura degli antichi. Il motivo di ciò deriva dal fatto che nelle nostre lingue è venuta definitivamente meno la distinzione tra durata delle sillabe e accento tonico della parola che caratterizzava invece le lingue classiche. È pregiudizio piuttosto diffuso in ambito scolastico che nelle nostre lingue non esista distinzione tra sillabe brevi e sillabe lunghe, e proprio su questa base la poesia moderna è definita accentuativa, come se tutte le sillabe avessero un'unica durata. Un'analisi un po' più attenta ci porta invece a constatare che le cose in realtà sono un po' più complicate. La differenza tra la parola áncora e la parola ancóra, dal punto di vista fonetico, non consiste solo nella maggiore intensità con cui pronunciamo le due sillabe accentate, ma anche nella loro maggiore durata rispetto alle sillabe non accentate: più lunga la prima sillaba di ♫ áncora, più lunga la seconda sillaba di ♫ ancóra. Per rendercene conto diamo un'occhiata alle due immagini sottostanti che visualizzano il grafico della registrazione fonetica delle due parole:


     án                         co       ra

  an                       có             ra

La conclusione a cui dovremo quindi arrivare è proprio questa: l'accento tonico della parola, se pur sottolineato dall'intensità della voce, nelle nostre lingue è sempre accompagnato dall'allungamento della sillaba accentata. Nell'ascolto della lettura metrica di un brano di poesia classica la nostra percezione, condizionata dalla pratica delle nostre lingue, ci porterà inevitabilmente a sentire come accentate le sillabe pronunciate più lunghe rispetto alle sillabe precedenti o successive.

Per gli antichi le cose andavano diversamente. L'accento tonico della parola e la durata delle sillabe costituivano due aspetti coesistenti e autonomi. L'accento tonico, che poteva cadere sia su sillabe lunghe che su sillabe brevi, doveva essere fatto sentire con un innalzamento (forse di un intervallo di quarta o di quinta) dell'intonazione vocalica sulla sillaba accentata, che pertanto risultava più acuta rispetto alle sillabe non accentate. Questo doveva accadere sia nel parlare quotidiano che nella recitazione poetica. Dovremo quindi concludere che per gli antichi la lettura di un brano poetico non comportava nessuna difformità rispetto ad una normale lettura, né nella pronuncia di chi recitava né nella percezione dell'ascoltatore. La ritmicità della recitazione era l'inevitabile risultato dell'alternarsi regolare di sillabe lunghe e brevi che costituivano il testo poetico. L'abilità del poeta consisteva dunque nel produrre un testo significativo, espressivo e nello stesso tempo costituito da una successione di sillabe lunghe e brevi coerente con lo schema metrico di volta in volta prescelto.

Nella lettura metrica della poesia classica, così come è praticata al giorno d'oggi, la rinuncia a far sentire l'accento tonico delle parole è considerata normalmente inevitabile. Il tentativo di rispettare entrambi gli aspetti fonetici potrà approdare a risultati certamente discutibili se non addirittura ridicoli, proprio alla luce del fatto che il nostro orecchio non è abituato ad ascoltare un parlato in cui coesista una consapevole sistemazione ritmica del discorso rispettosa della struttura melodica delle singole parole. Certamente questi tentativi saranno ben lontani da quello che doveva essere il modo di recitare praticato dagli antichi. Tanto più che anche gli antichi non sempre recitavano allo stesso modo e con lo stesso risultato le stesse composizioni poetiche, in dipendenza dalle infinite diversità connesse con il timbro vocale, lo stato d'animo, l'età, il sesso e la cadenza locale del recitante; aspetti che ovviamente sono tutti destinati a rimanerci sconosciuti per sempre.

Negli esempi di recitazione che saranno proposti in queste pagine dedicate alla metrica in molti casi si è tentato di far sentire gli accenti tonici innalzando il suono vocalico sulle sillabe interessate e rispettando nello stesso tempo la durata di tutte le sillabe. Nelle pagine esemplificative gli esempi trascritti riportano evidenziate in rosso le sillabe su cui cade l'accento tonico delle parole.

Naturalmente a questo punto è d'obbligo che il primo esempio sia costituito proprio dal primo verso dell'Eneide, di cui, nella recitazione proposta, si è cercato di rispettare sia la struttura ritmica che la successione degli accenti tonici delle parole:

Árma virúmque cáno, Tróiae quí prímus ab óris