Il termine è utilizzato a designare due versi di natura isosillabica, chiamati rispettivamente asclepiadeo maggiore e asclepiadeo minore. Il richiamo al poeta greco Asclepiade vissuto nel III secolo a. C. è del tutto improprio, visto che sia l'asclepiadeo maggiore che l'asclepiadeo minore erano stati utilizzati già nel VII secolo a. C. da Saffo e da Alceo.
Nell'ambito della poesia romana Catullo e Orazio con ogni probabilità utilizzarono, dell'Asclepiadeo maggiore, uno schema leggermente diverso: Catullo non considerava strutturali le due cesure, a differenza di Orazio che sembra trattarle come obbligatorie.
Asclepiadeo maggiore catulliano
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Esempio
♫ Ālfēne īmmĕmŏr ātque ūnănĭmīs fālsĕ sŏdālĭbūs (Cat. XXX 1)
Asclepiadeo maggiore oraziano
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Esempio:
♫ Tū nē quaēsĭĕrīs, ‖ scīrĕ nĕfās, ‖ quēm mĭhĭ, quēm tĭbĭ(Hor. Carm. I 11, 1)
Testi poetici in asclepiadei maggiori con recitazione metrica
Asclepiadeo minore
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Esempio:
♫ Maēcēnās ătăvīs ‖ ēdĭtĕ rēgĭbūs (Hor. Carm. I 1, 1)