La parola cesura (dal latino caesura = taglio) viene utilizzata dai metricologi per indicare una pausa che, all'interno di un verso, può essere collocata tra la fine di una parola e l'inizio della parola successiva, sia allo scopo di consentire un breve respiro a chi recita, sia soprattutto per sottolineare, mediante una sospensione appena percettibile, la struttura semantica del testo.
Il verso che per la sua frequenza e il suo ampio respiro ha richiamato maggiormente l'attenzione degli studiosi di metrica a proposito di cesure è l'esametro dattilico.
Premesso che in teoria, per esigenze di carattere semantico ed espressivo, chi recita può sempre collocare una pausa in qualsiasi posizione dell'esametro, purché non all'interno di parola, un'attenta osservazione statistica ci porta a individuare delle sedi in cui i poeti antichi preferivano far terminare una parola, concedendo così la possibilità di far sentire una cesura in tali sedi.
Fin dall'antichità gli studiosi hanno classificato le seguenti cesure dell'esametro:
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Va comunque osservato che le cesure dell'esametro non possono mai interrompere in maniera vistosa il normale fluire del ritmo richiesto dalla struttura del verso. Nella pratica della recitazione le pause prodotte dalle cesure di questo tipo non hanno una durata quantificabile, nel senso che la durata di ogni piede, dattilo o spondeo, sarà in tutti i casi più o meno identica, indipendentemente dalla presenza o meno di cesure al suo interno.
Diverso è invece il caso delle cesure fisse che sono previste nella struttura di alcuni versi, sempre nella stessa posizione. Queste cesure, che potremmo definire strutturali, costituiscono una pausa obbligata e necessaria al realizzarsi del ritmo.
Si pensi per esempio alle cesure del pentametro dattilico e dell'asclepiadeo, maggiore e minore.